Il laser e la prostata
Già da molti anni negli Stati Uniti, e più recentemente in Italia, la patologia benigna urologica più frequente nell’uomo dopo i 50 anni, cioè l’ipertrofia prostatica benigna (IPB), può essere trattata con il Laser (TULIP-Vaporizzazione della prostata). Sicuramente dalle prime applicazioni del laser per il trattamento della IPB ad oggi abbiamo assistito ad una evoluzione nelle fonti di energia impiegate e ad un perfezionamento nella tecnica di esecuzione dell’intervento che, come nella classica resezione della prostata (TURP), avviene per via endoscopica. I punti di forza del laser sono sicuramente il ridottissimo rischio di sanguinamento durante l’intervento e nel post-operatorio e la possibilità di essere dimessi il giorno seguente senza catetere.
Accanto a queste affermazioni, che sono vere e indiscutibili, non sono da trascurare alcune considerazioni che ridimensionano, a mio parere, l’applicazione del laser per il trattamento dell’IPB e fanno della TURP (tecnica accettata a livello mondiale e standardizzata da circa 30 anni), ancora oggi, il trattamento di scelta. Tra queste: gli stimoli irritativi post-intervento (frequenza, urgenza e bruciori ad urinare) sono di gran lunga più duraturi rispetto alla TURP e quindi richiedono adeguati trattamenti antinfiammatori e antibiotici; la completezza dell’intervento, in termini di asportazione di tessuto prostatico, è ancora a vantaggio della classica TURP rispetto alla TULIP. In conclusione, la mia posizione non è contro il laser, anzi sono favorevole a tutto ciò che è evoluzione tecnologica soprattutto se a vantaggio del paziente. Il laser rappresenta sicuramente il futuro nel trattamento dell’IPB ma al giorno d’oggi ha delle limitazioni nelle indicazioni. La Vaporizzazione della prostata con il laser per i suoi rischi ridotti è particolarmente indicata per pazienti cardiopatici in terapia con anticoagulanti orali che non sono più costretti a sospendere la terapia come si impone sempre per un intervento chirurgico, per quelli affetti da disordini emocoagulativi e per coloro con un elevato rischio anestesiologico.
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